Tra il 1947 e il 1956, più di settantamila bambini sfollati da Roma, Napoli e altri centri del Sud Italia trovarono asilo e nutrimento presso altrettante famiglie dell’Emilia Romagna. Momento di grande solidarietà nazionale, i “treni della felicità” organizzati dal Partito Comunista e dall’Unione Donne Italiane sono una realtà dimenticata dell’immediato Dopoguerra, che Alessandro Piva vuole raccontare in Pasta Nera, presentato in Controcampo Italiano.
Il documentario non è la forma espressiva migliore per il talento di Piva, già regista dello splendido LaCapaGira (2000). A dispetto delle lodevoli motivazioni, e nonostante l’interesse del soggetto trattato, Pasta Nera non s’innalza al di sopra del prodotto ben confezionato, somigliando più a una (bella) puntata de La Storia siamo Noi che a un’opera selezionata per la Mostra del Cinema.
Il documentario è frutto di un lungo, accurato lavoro di ricerca: sul materiale pescato negli archivi di Cinecittà Luce, ma anche tra le persone che vissero quella particolare esperienza. Le immagini di repertorio si alternano così alle interviste ai bambini di allora, ormai adulti, e alle organizzatrici (tra loro Miriam Mafai, giovanissima all’epoca).
Eppure, un tale sforzo si risolve in una lista di immagini e storie di alto contenuto informativo, ma di scarso valore artistico e dalla carica emozionale pressoché assente – eccezion fatta per la fame atavica, ricordata nel dettaglio da ciascun intervistato. Il tutto condito da una colonna sonora fastidiosa, fatta di sospiri che imitano i rumori del treno e di cori di voci bianche che, associati ad immagini al ralenti, risultano vagamente inquietanti. Forse a causa degli scarsi mezzi finanziari e delle numerosi interruzioni durante la lavorazione (raccontati dallo stesso Piva), Pasta Nera rimane un lavoro incompiuto, un’occasione sfruttata a metà per gettare più di una luce su un momento cruciale della nostra storia patria.
Il documentario non è la forma espressiva migliore per il talento di Piva, già regista dello splendido LaCapaGira (2000). A dispetto delle lodevoli motivazioni, e nonostante l’interesse del soggetto trattato, Pasta Nera non s’innalza al di sopra del prodotto ben confezionato, somigliando più a una (bella) puntata de La Storia siamo Noi che a un’opera selezionata per la Mostra del Cinema.
Il documentario è frutto di un lungo, accurato lavoro di ricerca: sul materiale pescato negli archivi di Cinecittà Luce, ma anche tra le persone che vissero quella particolare esperienza. Le immagini di repertorio si alternano così alle interviste ai bambini di allora, ormai adulti, e alle organizzatrici (tra loro Miriam Mafai, giovanissima all’epoca).
Eppure, un tale sforzo si risolve in una lista di immagini e storie di alto contenuto informativo, ma di scarso valore artistico e dalla carica emozionale pressoché assente – eccezion fatta per la fame atavica, ricordata nel dettaglio da ciascun intervistato. Il tutto condito da una colonna sonora fastidiosa, fatta di sospiri che imitano i rumori del treno e di cori di voci bianche che, associati ad immagini al ralenti, risultano vagamente inquietanti. Forse a causa degli scarsi mezzi finanziari e delle numerosi interruzioni durante la lavorazione (raccontati dallo stesso Piva), Pasta Nera rimane un lavoro incompiuto, un’occasione sfruttata a metà per gettare più di una luce su un momento cruciale della nostra storia patria.
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