Benvenuti sul convogliatore di informazioni culturali che orbitano attorno alla Psicologia.
La caratteristica preponderante di questo blog è la trasversalità degli argomenti trattati.
Il cinema è stato l'embrione del blog. Qui potrete trovare Ricerche, News, Libri, Articoli, e molto altro ancora. Concentrandosi sulle forme di espressione artistica-culturale il fine ultimo è quello di far avvicinare le persone e il mondo contemporaneo del Web alla Psicologia. Questo è Psycho Terapico.
Vorrei cominciare col dire, a chi legge questo post, che mi scuso per il periodo di assenza nelle pubblicazioni. Detto questo questo ,parto proprio da dove avevo lasciato, nel senso che vorrei far risalire l'inizio delle mie pubblicazioni al periodo in cui smisi di farne. Bene, non posso dirvi molto sull'autore senonchè ho avuto modo di conoscerlo durante il mio percorso lavorativo e di crescita professionale. Per il resto, se leggete il suo libro potete ben comprendere. Un uomo con dei segreti è un libro che vuole dare voce a delle idee di un giovane rispetto alla società in cui viviamo. Se Potete, aquistatelo! Non dico altro.
Un consulente fiscale si trova un giorno dinanzi una cliente inattesa che
gli racconta dei propri problemi di coppia. La donna lo ha scambiato
per uno psicoanalista che ha lo studio accanto. L`uomo è affascinato da
questa situazione e non rivela la verità. La donna la scoprirà da sola
ma continuerà a confessarsi con lui. Questo è il plot di base del film
di Leconte che, dopo L´uomo del treno torna a dirigere una coppia
di attori ad altissimo livello per una storia che tratta, ancora una
volta in modo originale, le attese, i sogni e i bisogni di uomini e
donne.
No è solo una via della coatica metropoli, ma essa è tra tutte le altre cose una via che ospita il Parco dela Besana, un magnifico luogo in fase di ristrutturazione che risale al 1.700.
Ebbene, il parco della Besana, al suo interno ospita frequenteme te mostre di ogni genere, dal design alla biodevirseità, per citarne alcune.
Oggi però mentre mi apprestavo a passare per questa via, dove si trova anche uno dei miei luighi di lavoro, sono venuto a conoscenza della presenza di una mostra d'arte contemporanea con tema l'Autismo.
L'associazione promotice si chiama "Arte tra la Gente" che ha organizzato EssenzialMente grazie anche la patrocinio della regione lombardia e del comune di Milano.
Essenzialmente è una mostra che ha come o biettivo raccontare l'autismo e renderlo visibile. L’arte interpreta l’autismo attraverso le mille sfumature di cui è capace, lo materializza nella sua essenza più profonda e gli permette di esprimersi attraverso un percorso interattivo dove l’osservatore si incontra con questo mondo spesso sconosciuto.
Yssouf è un giovane ragazzo africano con un animo da artista in cerca del denaro necessario ad acquistare un costoso macchinario con cui produrre le sue opere d'arte. Appena giunto a Napoli, trova ospitalità presso una comunità di immigrati accampata in una piccola villa a Castelvolturno, detta la Casa delle Candele perché molto spesso salta la luce. Mentre gli altri inquilini si guadagnano da vivere vendendo fazzoletti ai semafori o suonando musica per strada, Yssouf si rivolge a suo zio Moses, un potente boss del traffico di cocaina sul territorio. Questi dapprima gli trova un lavoro in un autolavaggio alle dipendenze di un padrone sfruttatore, poi lo coinvolge nello spaccio di droga per permettergli di guadagnare più soldi più in fretta.
In francese, là-bas significa lì, laggiù, e indica la distanza che ci separa da qualcosa. Per molti africani è la parola con cui identifica la lontananza dall'Europa e dalle sue prospettive. Per il regista napoletano Guido Lombardi diviene un termine chiave con cui rovesciare l'ordinaria prospettiva sulla distanza che separa gli italiani dagli immigrati. Partendo dalla strage di Castelvolturno avvenuta nel settembre 2008, in cui il Clan dei Casalesi uccise sei giovani clandestini come atto deliberato di violenza razziale e monito sul controllo dei traffici illegali legati al territorio, Lombardi concepisce un racconto di educazione criminale dove il punto di vista è unicamente quello dell'immigrato.
Non proprio un film sull'immigrazione, quindi, e nemmeno un'inchiesta sulla camorra, quanto il più classico dei racconti di educazione criminale in cui la realtà della camorra e delle comunità africane di Castelvolturno spinge dall'esterno su una solida drammaturgia. Come negli episodi di Gomorra di Roberto Saviano, la sostanza dell'inchiesta e la prova del documento incontrano la forma della narrazione classica e la creazione di personaggi avvincenti e complessi, con cui condividere i dissidi interiori e i dubbi morali, il respiro tragico e la redenzione finale.
È in questo senso, infatti, che il regista napoletano configura l'identità del personaggio attraverso un gioco di vicinanze e lontananze, divari visibili e invisibili fra storia e finzione. Così, mentre la distanza geografica e linguistica si acuisce nel momento in cui l'italiano diventa la vera lingua straniera in questa storia - lingua marginale parlata giusto da qualche camorrista - quella culturale si assottiglia attraverso la potenza universale della tragedia classica.
L'idea di restare ancorati a Yssouf e di muoversi unicamente all'interno della comunità africana con cui lui si scontra e si confronta, permette così al film di mantenere un ideale pedagogico, di farsi sguardo indagatore e analitico sulla quotidianità dell'immigrazione, senza diventare una lezione retorica sull'accoglienza o uno spot contro il razzismo.
Trailer:
Non ci sono ancora Link Disponbili per download e streaming ma presto ci saranno :-)...
Atsuko Chiba è una psicoterapeuta che cura i traumi dei suoi pazienti interagendo direttamente col loro mondo onirico. La terapia è in grado penetrare i sogni e di esplorare l'inconscio mediante il DC-Mini, un dispositivo che apre incredibili prospettive nel trattamento dei disturbi psichici. Prima ancora di essere brevettato, il congegno rivoluzionario viene trafugato e il Dottor Shima, direttore e mentore di Atsuko, imprigionato nel sogno dissennato e delirante di un folle. Il misterioso nemico è deciso a interferire coi sogni degli uomini, a manipolarli e a governare sul mondo sognato e su quello reale. L'uso scorretto del DC-Mini potrebbe infatti annichilire la personalità e la volontà del sognatore. Konakawa, un detective che odia il cinema ma sogna per generi cinematografici, decide di indagare. Nelle indagini al confine con l'inconscio lo aiuteranno Paprika, alter ego onirico della dottoressa Atsuko, e il dottor Tokita, pingue inventore del prototipo. Trasposto assai liberamente da un romanzo di Yasutaka Tsutsui (maestro della letteratura fantascientifica giapponese), Paprika è un'opera metacinematografica, un'apocalisse onirica che confonde magnificamente i piani del reale, del sogno, del fantastico e del cinematografico. Satoshi Kon replica la magia di Perfect Blue, disegnando un nuovo psyco-thriller animato che unisce al realismo del disegno la libertà immaginativa delle trame, senza temere di deludere le aspettative di estimatori e spettatori. Dopo l'incalzante opera prima, piena di false piste, il geniale animatore nipponico inventa una macchina fantastica capace di penetrare i sogni e di trasformarli in film. Il villain è un ladro che ruba l'anima e la psiche di chi dorme. L'eroina è una dottoressa che recupera i sogni dei sognatori. Il giustiziere è un detective con fobie cinematografiche. Il luogo è un futuro prossimo. Il motore è una macchina, il DC-Mini, che come il cinema svolge, rallenta, scompone e analizza la "materia onirica". Così la realtà, come la trama, diventerà presto inafferrabile per i protagonisti animati e per gli spettatori. Realizzare un film è un po' come realizzare un sogno, e se Michel Gondry ritaglia cartoncini e arriccia carta crespa per narrarne "l'arte", Satoshi Kon si confronta con la scienza di Freud e col cinema dal vero usando l'animazione come elaborazione artistica e non come una semplice registrazione del reale. Personaggi, città e luoghi fantastici sono restituiti in modo da non assecondare i luoghi comuni che ne trascurano la realtà complessa e stratificata. L'originalità del regista giapponese consiste nell'uso di una grammatica che fa riferimento al mondo "reale" dell'immaginazione e che sfida a colpi di "spezia" i pregiudizi nei confronti delle immagini animate. Paprika porta all'estremo le tematiche del "perfetto blu", continuando a esplorare le relazioni sogno/realtà, immaginazione e realtà, fino a confonderle e a sovrapporle, fino a produrre uno stordimento nel quale perdere trama e spettatore.
T.J. è un ragazzino a cui è morta da due mesi la madre in un incidente stradale. La vita familiare è stata sconvolta dal decesso: il padre Paul vegeta in depressione in casa e la nonna cerca in qualche modo di accudire i due sopravvissuti. Un giorno però nella vita della famiglia entra Hesher. Capelli lunghi, tatuaggi artigianali sul petto e sulla schiena, volgarità all’ennesima potenza il giovane si installa in casa manifestando un comportamento dagli eccessi del tutto imprevedibili. T.J. intanto prova un primo sentimento per una cassiera dal lavoro precario ed è in costante ricerca di riscattare l’auto sulla quale è morta la mamma. Deve anche difendersi da un adolescente violento che lavora presso l’autorimessa in cui è temporaneamente custodito il veicolo.
Il film è un ritratto delicato e originale di una savant, una donna autistica dotata di straordinarie capacità e s'ispira alla storia vera di Temple Grandin, una sessantenne americana con due lauree in Psicologia e in Zoologia e un master in Scienze Animali e una tenace attivista del movimento in tutela dei diritti degli animali e delle persone autistiche. La donna ha superato un'infanzia turbolenta, durante la quale le era stata diagnosticata la schizofrenia infantile, e un'adolescenza dura, fatta di incomprensioni, pregiudizi e rifiuti. Grazie all'aiuto della famiglia, a una singolare immaginazione e a una ostinata determinazione la scienziata autistica, che ha ispirato anche uno dei racconti de "Un antropologo su Marte" del celebre e apprezzato Oliver Sacks, è riuscita a scardinare il concetto dell'autismo come malattia debilitante e delimitante.
La vita derelitta di Driss, tra carcere, ricerca di sussidi statali e un rapporto non facile con la famiglia, subisce un'impennata quando, a sorpresa, il miliardario paraplegico Philippe lo sceglie come proprio aiutante personale. Incaricato di stargli sempre accanto per spostarlo, lavarlo, aiutarlo nella fisioterapia e via dicendo Driss non tiene a freno la sua personalità poco austera e contenuta. Diventa così l'elemento perturbatore in un ordine alto borghese fatto di regole e paletti, un portatore sano di vitalità e scurrilità che stringe un legame di sincera amicizia con il suo superiore, cambiandogli in meglio la vita.
Tra il 1947 e il 1956, più di settantamila bambini sfollati da Roma, Napoli e altri centri del Sud Italia trovarono asilo e nutrimento presso altrettante famiglie dell’Emilia Romagna. Momento di grande solidarietà nazionale, i “treni della felicità” organizzati dal Partito Comunista e dall’Unione Donne Italiane sono una realtà dimenticata dell’immediato Dopoguerra, che Alessandro Piva vuole raccontare in Pasta Nera, presentato in Controcampo Italiano.
Il documentario non è la forma espressiva migliore per il talento di Piva, già regista dello splendido LaCapaGira (2000). A dispetto delle lodevoli motivazioni, e nonostante l’interesse del soggetto trattato, Pasta Nera non s’innalza al di sopra del prodotto ben confezionato, somigliando più a una (bella) puntata de La Storia siamo Noi che a un’opera selezionata per la Mostra del Cinema.
Il documentario è frutto di un lungo, accurato lavoro di ricerca: sul materiale pescato negli archivi di Cinecittà Luce, ma anche tra le persone che vissero quella particolare esperienza. Le immagini di repertorio si alternano così alle interviste ai bambini di allora, ormai adulti, e alle organizzatrici (tra loro Miriam Mafai, giovanissima all’epoca).
Eppure, un tale sforzo si risolve in una lista di immagini e storie di alto contenuto informativo, ma di scarso valore artistico e dalla carica emozionale pressoché assente – eccezion fatta per la fame atavica, ricordata nel dettaglio da ciascun intervistato. Il tutto condito da una colonna sonora fastidiosa, fatta di sospiri che imitano i rumori del treno e di cori di voci bianche che, associati ad immagini al ralenti, risultano vagamente inquietanti. Forse a causa degli scarsi mezzi finanziari e delle numerosi interruzioni durante la lavorazione (raccontati dallo stesso Piva), Pasta Nera rimane un lavoro incompiuto, un’occasione sfruttata a metà per gettare più di una luce su un momento cruciale della nostra storia patria.
Nel parco Celio, uno dei luoghi più tradizionali di Roma, sorge l'asilo "Celio Azzurro", un luogo fuori dal comune nel quale vengono accettati unicamente bambini da famiglie indigenti, dando la priorità a quelle immigrate. Come tutte le istituzioni della sua tipologia l'asilo Celio Azzurro arranca, potendo contare unicamente sul sovvenzionamento statale (sempre decrescente nel corso dei venti anni di esistenza del centro), e vive del continuo contrasto tra la passione di chi ci lavora e la difficoltà di mandarlo avanti. Non è chiaro quanto ancora possa sopravvivere, nemmeno i suoi fondatori lo sanno, intanto continua ad accogliere bambini e ad accompagnarli nel processo di integrazione e inserimento nella società.
Winspeare torna ad occuparsi di infanzia con un documentario molto particolare che non dichiara immediatamente l'oggetto delle sue attenzioni. Se dal titolo potrebbe sembrare che l'istituto sia ciò che interessa al regista, dal racconto degli eventi emergono altri elementi. Accanto alla storia del centro, alla sua quotidianità, alla documentazione di come si possa fare un lavoro di quel tipo (unire bambini di razze e provenienze diverse rispettandone origini e tradizioni ma insegnandogli la realtà italiana e al tempo stesso educando anche i genitori) è infatti raccontata anche la storia personale che ci lavora attraverso dei flashback fotografici, un percorso all'indietro nelle foto della vita delle singole persone che contrappunta il resto delle immagini scandendo il film in capitoli.
L'idea sembra essere che Celio Azzurro non è un luogo che ha una sua identità indipendentemente da chi lo gestisca ma che sia invece un luogo fisico emanazione dei propri gestori, che potrebbe morire con loro o mutare con loro ma che di sicuro grazie a loro genera un tipo di istruzione realmente diversa dal solito. Non sono la collocazione o le mura a renderlo ciò che è ma la competenza, la dedizione e gli sforzi dei singoli per mandarlo avanti contro tutto e contro tutti.
I risultati di tutto ciò vengono, faziosamente, mostrati quando alcuni ex frequentatori dell'asilo, ora grandi, tornano a far visita e raccontano di come siano rimasti legati gli uni agli altri, di come quell'esperienza infantile, solitamente incolore, per loro sia stata invece determinante.
L'impressione finale che se ne ricava è, come nelle intenzioni di Winspeare, di grande solidarietà e vicinanza ad un simile tipo di istituzione, nonchè di rabbia per l'eventualità che l'attuale (o futura) gestione dei fondi statali gli impedisca di andare avanti. In questo modo però si scioglie l'idea di fondo, leggere il luogo attraverso le persone, sconfinando nel film a tesi.
Luca, quindicenne svogliato che parla solo un particolarissimo slang romano viene affidato dalla madre single, in partenza per il Mali, al prof che dà al ragazzo ripetizioni di lettere, Bruno Beltrame (uno spassosissimo Fabrizio Bentivoglio) che, nonostante il ruolo e la cultura, si ostina a parlare – in contrapposizione al ragazzo- in fortisso accento padovano.
La convivenza tra l’indisciplinato Luca, che non riesce a stare sui libri per più di 5 minuti, ed il professore risulta da subito impraticabile, nonostante la stima riceproca, provocando la fuga di entrambi, finché Bruno, sollecitato dagli insegnanti del ragazzo ad assumersi il suo ruolo di educatore paterno, sarà capace di fare quel passo avanti che gli aprirà le porte della comunicazione intergenerazionale.
Ad incrociarsi con la vita dei due una ex ricca porno star (Bobulova) che vuole farsi scrivere da Beltrame la propria biografia e finirà per diventare confidente dell’uomo e il Poeta (Vinicio Marchioni) boss bizzarro della mala locale con la passione per la cultura.
Divertente, ma non solo. Uno spaccato di situazioni famigliari che, per quanto paradossali, alla fine risultano tristemente “normali”. Interessante il gioco di registri linguistici e di dialetti, fino arrivare allo slang giovanile presente già dal titolo.
Mike (Paul Giamatti) è un avvocato di provincia al quale gli affari vanno piuttosto male. Talmente male che pur di incassare qualche centinaia di dollari al mese si assume l’incarico di occuparsi di un uomo sulla sessantina affetto da demenza senile e lo sistema in un ospizio, garantendosi un piccolo ingresso mensile e dedicandosi, da quel momento, più che altro ad allenare la squadra di wrestling del college del suo paese.Le cose si complicano quando, sulle tracce dell’anziano, arriva il giovane nipote, che scopriamo essere un talentuoso wrestler, e successivamente la di lui madre, appena uscita da una riabilitazione e parecchio interessata, se non al recupero del figlio o al benessere del padre, all’assegno mensile che l’avvocato incassa per occuparsi del vecchio.
Sheryl, moglie e madre per vocazione, alle prese con il secondo matrimonio, fatica a reggere le fila di un nucleo familiare assemblato a suon di copia-incolla: Richard, marito/padre alla ricerca ossessiva di un improbabile successo editoriale, Dwayne e Olive, rispettivamente adolescente ribelle e mini-reginetta di bellezza di provincia, il nonno, cacciato dalla casa di cura perché cocainomane, e, ultimo in ordine di arrivo, lo zio Frank, fratello di Sheryl reduce da un tentato suicidio. Una sgangherata famiglia, quella degli Hoover, che si ritroverà in viaggio su un cadente pulmino verso il concorso di bellezza per bambine più famoso della California, Little Miss Sunshine, per cui la piccola Olive è stata selezionata.
Il viaggio, a dir poco movimentato, ridefinirà i rapporti, e darà occasione a ciascuno, in modo inatteso e imprevedibile, di riconciliarsi con se stesso prima che con gli altri.
Il film sarà il primo di un programmazione cinematografica organizzata dall'ABA (Associazione per l'anoressia e la bulimia) di Milano.
Un villaggio protestante della Germania del Nord. 1913/1914. Alla vigilia della prima guerra mondiale. La storia dei bambini e degli adolescenti di un coro diretto dal maestro del villaggio, le loro famiglie: il barone, l’intendente, il pastore, il medico, la levatrice, i contadini. Si verificano strani avvenimenti che prendono un poco alla volta l’aspetto di un rituale punitivo. Cosa si nasconde dietro tutto ciò?
James ha 18 anni e vive a New York. Finita la scuola, lavoricchia nella galleria d'arte della madre, dove non entra mai nessuno: sarebbe arduo, d'altra parte, suscitare clamore intorno a opere di tendenza come le pattumiere dell'artista giapponese che vuole restare Senza Nome. Per ingannare il tempo, e nella speranza di trovare un'alternativa all'università ("Ho passato tutta la vita con i miei coetanei e non mi piacciono granché"), James cerca in rete una casa nel Midwest dove coltivare in pace le sue attività preferite - la lettura e la solitudine -, ma per sua fortuna gli incauti agenti immobiliari gli riveleranno alcuni allarmanti inconvenienti della vita di provincia. Finché un giorno James entra in una chat di cuori solitari e, sotto falso nome, propone a John, il gestore della galleria che ne è un utente compulsivo, un appuntamento al buio...
James Sveck ha diciassette anni e nessuna voglia di essere raggiunto. Dal cellulare, che butta in un bidone artistico, e dagli adulti che lo vorrebbero consumatore di oggetti e affetti. Figlio di genitori separati e fratello minore di una sorella maggiore invaghitasi di un professore di teoria del linguaggio, James rifugge il mondo e comunica soltanto con Nanette, nonna di buon senso e di buon cuore, e Miró, un cagnetto nero che si crede umano. Deciso a non frequentare l'università e ad acquistare una vecchia casa nel Midwest in cui leggere libri e lavorare il legno per il resto della vita, il ragazzo è incalzato da mamma e papà che lo vogliono cool e realizzato. Gallerista con tre matrimoni falliti alle spalle, la madre, Peter Pan incallito col vizio della chirurgia estetica, il padre, i genitori di James corrono ai ripari e lo invitano a incontrare una life coach che gli indichi la via per il successo (sociale). Sensibile e umana la sua terapista ne accerterà la grande sensibilità, esortandolo a vivere secondo le regole del suo cuore.
Come il celebre Holden di Salinger, James ha pochi anni e poca stima per quel mondo adulto che vede approssimarsi con la sua arrogante apparenza. Come Holden, ancora, è sospeso tra ‘un'infanzia schifa' e le ‘cose da matti' dei grandi, tra le panchine di Washington Square e i laghetti di Central Park, da dove partono ma non si sa mai “dove vanno a finire le papere”. Dietro James però c'è una New York meno accessibile alla narrazione che prova a ricostruire la sicurezza in se stessa ricominciando a raccontare e a raccontarsi. Trasposizione del romanzo omonimo di Peter Cameron Un giorno questo dolore ti sarà utile è il secondo film americano di Roberto Faenza, che guarda agli adolescenti della solidissima tradizione letteraria statunitense e realizza il ritratto di un ragazzo complesso, profondo e curioso che ha il volto e la sensibilità di Toby Regbo. Dalla New York indagata dal tenente di Harvey Keitel (Copkiller – L'assassino dei poliziotti), il regista torinese procede a indagare un adolescente che in quella stessa città avvia una ribellione silenziosa provocata dalla sua inquieta e dolorosa esplorazione. James ha la saggezza e la pulizia che manca agli adulti in scena e intorno a lui, mai giudicati dal regista ma accolti con le loro ossessioni, quella di adescare mariti o quella di collezionare sottane. A equilibrare una genitorialità eccentrica e la sua grottesca simulazione di giovinezza, ci pensa la nonna di Ellen Burstyn, che esclude il modello del ‘si fa così' incoraggiando nel nipote la capacità di produrre la sua differenza e di spiazzare quello che la società si aspetta da lui.
Asciutto e lineare, il film di Faenza aderisce al romanzo di formazione di Cameron cogliendone l'anima, le percezioni sociali, le relazioni interpersonali, le visioni sulla realtà, l'aria del tempo, la ‘normalità' intesa come rinnovamento morale e non come routine sclerotizzata. Nell'attesa di non andare al college e dentro una galleria in cui nessuno compra mai niente, il giovane James capirà che non ci si può sottrarre alla vita anche se ancora non si sa che cosa si vuole da quella vita. Ma per viverla un giorno il dolore accumulato gli sarà utile insieme a quelle cose che la nonna gli ha lasciato. Un tesoro custodito nel cuore e in un deposito climatizzato di Long Island City.
Scozia anni '50. Lester ed Ella sono i proprietari di una chiatta che naviga lungo il Clyde a Glasgow. La loro vita cambia quando decidono di prendere con sé il lavorante Joe che, nel giro di poco tempo, tradisce la fiducia del suo datore di lavoro facendo sesso con la moglie. I coniugi si dividono ma per poco perché Joe finisce col tradire anche la fiducia di Ella, avendo rapporti sessuali con la cognata. Ella finirà col tornare alla solita noiosa vita con il marito. Il rinvenimento nel fiume del cadavere di una ragazza porta sullo schermo lo 'scomodo' segreto della vita di Joe: la sua fidanzata Cathy è caduta nelle acque gelide del Clyde davanti ai suoi occhi dopo un amplesso poco romantico e molto torrido. Il corpo della ragazza viene trovato proprio da Lester e Joe, ma nessuno risale a lui come ex fidanzato di Cathy, perciò è Lester ad andare in tribunale a testimoniare sulla scoperta del cadavere.
Nonostante la bravura degli attori i personaggi risultano anonimi. Il protagonista, arrogante ed egoista, riesce a mantenere le distanze da qualsiasi fatto gli accada e non prova mai nulla emotivamente: vive senza regole. Le scene di sesso sono tanto realiste quanto inutili. Il degrado e il disagio personali sono gli elementi più importanti che caratterizzano i personaggi. Dall’omonimo romanzo di Alexander Trocchi.
Nancy Walsh è la più giovane di casa, è ben voluta a scuola così come dai suoi genitori. Insomma non c'è nessuna ragione perché si metta a respingere il cibo, a inventare sotterfugi per nascondere la cosa ai suoi e, alla fine, per rifiutare anche l'aiuto dei medici. L'argomento e il cast sono toccanti. Il primo perché l'anoressia è una malattia più diffusa e inconfessabile di quanto solitamente si pensi. Il secondo perché, oltre a Devane e alla Clayburgh, presenta una Tracey Gold ("Spara alla luna") decisamente nel ruolo.
Alabama, 1932. Atticus Finch, avvocato progressista, difende e dimostra l'innocenza di Tom Robinson (Peters), giovane nero accusato di aver stuprato una ragazza bianca. La giuria non ne tiene conto. Il condannato evade, un secondino lo sopprime. L'agricoltore razzista che aveva denunciato Robinson assale i due figli di Finch, ma è ucciso da Boo Radley, malato di mente, vicino di casa (oltre la siepe) dei Finch. Dal romanzo d'esordio (1960) di Harper Lee, premio Pulitzer, sceneggiato da Horton Foote che accosta con sagacia il tema dell'intolleranza razziale con gli incubi dell'infanzia, un film coraggioso e fine nel disegno psicologico dei personaggi. Ritmo incalzante e un'ottima descrizione del profondo Sud. 7 nomination agli Oscar. Ne vinse 3: attore (G. Peck), sceneggiatura (H. Foote), scenografia (A. Golitzen, Henry Burnstead, O. Emert). Fotografia: Russel Harlan. Musica: Elmer Bernstein. 1° film di Robert Duvall.
Il volume indaga il profondo legame tra psicoanalisi e cinema, mostrando come il cinema possa essere un mezzo fortemente rappresentativo delle paure e degli stati d'animo del singolo e della collettività e analizzando, da un punto di vista psicologico-psicoanalitico, ma anche da quello più strettamente visivo, le motivazioni profonde dello scaturire del sentimento della paura e dell'orrore. Dopo aver preso in esame le principali figure nel cinema horror e aver esplorato i diversi aspetti che ne motivano l'enorme presa sul pubblico, il libro mostra la serietà con cui questa "moderna forma d'arte" riesca a farsi portavoce di uno dei sentimenti e degli stati d'animo più complessi dell'essere umano: la paura.
Media digitali e comunicazione interattiva sono i fenomeni più eclatanti del mutamento sociale e dell'industria culturale all'inizio del nuovo millennio. Oggi gli iPad, gli eBook, così come gli smartphone, e i Tablet Pc, sempre connessi a Internet, assediano ogni giorno più da presso il regno della carta stampata gutenberghiana. Ma la nuova cultura digitale, cioè l'affermarsi di uno stile comunicativo orientato all'interazione, alla produzione di contenuti e alla condivisione, è stata accompagnata, durante gli ultimi ventanni, dall'affacciarsi sulla scena di una nuova forma evolutiva dell'Homo sapiens: il "nativo digitale". Chi sono i nativi digitali? Come comunicano? Come si relazionano al sapere? Nati e cresciuti all'ombra degli schermi interattivi, i Nativi sono simbionti strutturali della tecnologia, e le protesi tecnologiche che utilizzano dall'infanzia sono parte integrante della loro identità individuale e sociale. Fin da piccoli videogiocano, hanno un blog, e comunicano sui social network come Facebook o My Space. E con questa specie in via di apparizione che dovremo confrontarci noi immigranti digitali. Non sono nuovi barbari... Sono i nostri figli e sono, semplicemente, diversi
Sono molto entusiasta del fatto che la corrispondenza riguardante i film di carattere Psycho tra me e il mio amico Stefano continui.
Nel ringraziarlo per il suggerimento, ecco a voi un nuova pubblicazione.
Jean-René, direttore di una fabbrica di cioccolato e Angélique, cioccolataia di gran talento, sono due persone molto timide. E' la loro passione per il cioccolato che li accomuna. Si innamorano l'uno dell'altro senza avere il coraggio di confessarlo. La loro timidezza tende a tenerli lontani. Ma supererà la loro mancanza di fiducia in se stessi, il rischio di rivelare i propri sentimenti.
Francese, timido, educato, non anonimo, il film di Améris visualizza la volontà iperemotiva di mantenere tutto, il più possibile, immobile con una dimensione contemporanea presente, e insieme fuori dal tempo, dove i colori degli abiti, la fisicità degli interpreti e alcuni intermezzi canori spingono alla fiaba.
Si appresta ad arrivare sul mercato italiano con le migliori premesse Shame, film diretto da Steve McQueen. Presentato in concorso alla 68ª Mostra del cinema di Venezia, ha portato il protagonista Michael Fassbender alla conquista della Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile. L’attore potrebbe bissare ad inizio 2012 agli Oscar, vista la nomination nella categoria miglior attore.
Credenziali di tutto rispetto per un film già definito cult la cui uscita in sala è stabilita per il 13 gennaio 2012 in contemporanea mondiale. La tematica è di quelle che lasciano il segno e che promettono una buona dose di polemiche, visto che la trama ruota intorno al problema della dipendenza dal sesso del protagonista Brandon.
Nel cast, insieme a Fassbender, troviamo la splendida Carey Mulligan nei panni della sorella Sissi, James Badge Dale e Nicole Beharie. Le ottime critiche ottenute anche a Toronto International Film Festival chiudono il cerchio su uno dei film più attesi della nuova stagione.
Cresciuta in una famiglia difficile, tra cattolicesimo esasperato, rapporti conflittuali e un fratello maggiore malato di mente, Laura non ha vita facile neanche da grande. Il suo rapporto con gli uomini e con la società sembra minato da un'infanzia infelice e così anche il ricordo dei genitori ormai scomparsi da anni si fa pesante. Ma la morte improvvisa del fratello malato di mente, che ormai vive lontano da lei, non sarà una liberazione, anzi. Come in un trasferimento di colpe e responsabilità proprio quella morte darà inizio a un viaggio interiore (e per certi versi anche esteriore) di Laura che la porterà a confrontarsi con quanto ha vissuto lui, con se stessa, con i fantasmi del suo passato e con i fantasmi "reali". Non è facile raccontare la trama di Padiglione 22 e forse è riduttivo. Il film di Livio Bordone intende partire da quanto accaduto al momento dell'applicazione della legge Basaglia, quando cioè i malati di mente sono stati "liberati" dai manicomi, per raccontare di come i mali della reclusione forzata in istituti per la cura mentale possano riflettersi per decenni e non solo sui malati stessi. Eppure quello della legge Basaglia sembra più che altro un pretesto per parlare ancora d'altro. Padiglione 22 è un film italiano che nonostante cerchi in ogni modo di tenere un registro alto (non sempre riuscendoci davvero) non disdegna per nulla di sporcarsi le mani con l'horror. In molti punti le riflessioni che Bordone vorrebbe portate sono realizzate attraverso soluzioni di regia e improvvise accelerazioni tipiche del cinema dell'orrore, nonché molte delle soluzioni di intreccio sembrano guardare a quanto per il genere si è fatto recentemente in Spagna. Non manca dunque l'audacia a Padiglione 22, che cerca un cinema "completo" che sappia farsi forza di tanti elementi e tante contaminazioni diverse, che usi il sentimentalismo, come l'horror, come anche gli effetti speciali senza però fare di nessuna di queste componenti il centro assoluto del film. Non sempre riesce nel suo intento e non sempre quello che mette in scena convince eppure non siamo di fronte al solito cinema italiano che mette davanti a tutto un tema nobile (magari anche mal affrontato) ma a un cinema che mette davanti a tutto il cinema. E non è poco. Il racconto delle conseguenze della legge Basaglia è molto in secondo piano e sottolineato più che altro da una didascalia finale. Ad emergere è il viaggio nella mente di Laura, una Regina Orioli molto azzeccata, e il modo, molto semplice, in cui Bordone rappresenta la deriva mentale umana, il rapporto con i propri ricordi e un trasferirsi quasi mistico di ricordi e pesi. Tante sono le imprecisioni e le ingenuità (specialmente tutto il reparto VFX a cura di Proxima), ma si esce con l'idea di aver visto qualcosa che se non altro aveva tutte le intenzioni più corrette.