lunedì 3 ottobre 2011

PSYCHO NEWS - LA MEMORIA TRANSATTIVA - UNO STUDIO DELLA COLUMBIA UNIVERSITY


Una recente ricerca pubblicata da Science Magazine ci racconta quanto e come il computer ed il web stiano cambiando la natura della nostra memoria.
Alcuni esperti psicologi hanno analizzato una serie di persone per verificare alcune teorie relative all’uso della memoria umana nell’era delle informazioni digitali, svelando alcuni aspetti curiosi e un po’ allarmanti.
Sottoponendo al campione domande ad elevata difficoltà, si sono accorti che i soggetti tendevano a ragionare come un computer. Le risposte dirette a queste domande erano spesso sbagliate o poco dettagliate, al contrario, essi però sapevano molto meglio come e dove potevano essere rintracciate.
I ricercatori dicono che internet si comporta come una “memoria transattiva” ed anche noi stiamo gradualmente cominciando a comportarci come un computer.
L’autrice principale di questa ricerca, la Dott.ssa Betsy Sparrow della Columbia University, spiegando il suo studio in un’intervista rilasciata a BBC News, definisce la “memoria transattiva” in questo modo: “l’idea che ci siano fonti esterne di memoria – ovvero contenitori reali di informazioni individuabili in altre persone esperte in alcuni argomenti o che comunque noi percepiamo come tali e alle quali facciamo riferimento in caso di necessità”.
Il co-autore delle ricerca, il Prof. Daniel Wegner dell’Università di Harvard, introdusse per la prima volta il concetto di “memoria transattiva” in un capitolo del suo libro del 1985 “Cognitive Interdependence in Close Relationships” scoprendo che gli individui di coppie di lunga data tendevano a relazionarsi con i loro partner come una sorta di banca dati di supporto.
Partendo da questo studio degli anni ’80, la Dott.ssa Sparrow si è sempre più convinta che il web stia sempre più diventando una forma di memoria transattiva e perciò ha voluto dedicargli uno studio ad hoc.
“Dove, non Cosa”
Nella prima parte della ricerca, il team di scenziati ha voluto verificare se nei soggetti si potesse “innescare” un tipo di organizzazione del pensiero simile a quello utilizzato da un computer o da internet sottoponendo al campione, domande molto complesse. Per fare questo, il team ha utilizzato ciò che è noto come il test di Stroop, con alcune modifiche specifiche per questo studio.
Il test di Stroop misura lo standard di risposta su quanto tempo ci vuole a leggere una parola che esprime un colore quando la parola stessa è di colore diverso – per esempio, la parola “verde” scritta in blu.
I tempi di reazione aumentano quando, invece di “parole a colori”, i partecipanti erano invitati a leggere parole relativbe ad argomenti su cui erano già stati chiamati a pensare e ad esprimersi.
In questo modo il team ha dimostrato che, dopo aver presentato ai soggetti domande di una certa difficoltà che prevedevano semplici risposte vero / falso, i tempi di reazione ai termini relativi ad internet e al web risultavano marcatamente più lunghi, il che suggerisce che, quando i partecipanti non conoscevano la risposta, stavano già prendendo in considerazione l’idea di cercarla utilizzando un computer.
In un altro test ancor più significativo, veniva fornito ai partecipanti un flusso di informazioni. A metà del campione era stato detto di organizzare questi dati in cartelle tematiche e all’altra metà era stato detto che, una volta viste, queste informazioni sarebbero state cancellate.
Quando poi è stato chiesto ad entrambi i gruppi di ricordare queste informazioni, non è emersa alcuna differenza di memorizzazione tra i due gruppi ma coloro che sapevano che le informazioni erano ancora disponibili, si dimostravano notevolmente bravi a ricordare in quale cartella erano state archiviate queste informazioni.
“Questo suggerisce che, per le cose che possiamo trovare online, tendiamo a mantenerle online per quanto più ci sia possibile (perciò non le incameriamo), ovvero le teniamo in una memoria esterna”, ha spiegato la Dott.ssa Sparrow.
Ha aggiunto poi, che la propensione dei partecipanti a ricordare la posizione delle informazioni, piuttosto che l’informazione stessa, è segno che le persone sono sempre meno in grado di ricordare le cose, ma semplicemente organizzano le grandi quantità di informazioni in modo più accessibile.
Non credo che Google ci stia rendendo stupidi – stiamo solo cambiando il modo in cui ricordiamo le cose… Se oggi, riesci a trovare on-line informazioni anche mentre cammini per strada, l’abilità principale non è più quella di ricordare l’informazione o il fatto in se stesso ma soprattutto dove trovare queste informazioni. E la stessa cosa accade con le persone, cioè la nostra “abilità” diventa quella di saper individuare le persone giuste a cui chiedere una particolare informazione”. Comoda la vita eh?

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